Faq

Il bambino con problemi di linguaggio non “parla male” per dispetto o per pigrizia, ma perchè ha reali difficoltà. Richiedere continuamente di ripetere significa mandargli il messaggio che la sua comunicazione non è adeguata, che “non è in grado”, facendogli sperimentare inutili e dannose frustrazioni. Rivolgersi ad un esperto significa non sempre e non solo intervenire sul bambino, ma aiutare i genitori incoraggiando l’adozione di comportamenti che favoriscono l’interazione adulto-bambino e di tecniche comunicative facilitanti.

Mio figlio ha 2 anni e mezzo, ha un buon linguaggio ma balbetta! Cosa posso fare?Il pediatra mi ha consigliato di aspettare perché ancora è piccolo ma io voglio fare qualcosa per aiutarlo... I genitori possono rispondere a queste semplici domande poste in ordine di gravità del problema. Se un genitore risponde “si” ad almeno 3 domanda oltre alla n°1 questo suggerisce la possibilità che il bambino possa essere balbuziente. Chiedetevi se il bambino:
  • Balbetta da più di un anno senza remissione?
  • Ripete parti di parole piuttosto che intere parole o intere frasi?
  • Ripete suoni più di una volta ogni 8 / 10 frasi?
  • Fa più di due ripetizioni? (Es. -a-a-a-auto invece di a-a-auto).
  • Sembra frustrato o imbarazzato quando ha difficoltà con le parole?
  • Alza il tono della voce o chiude gli occhi o guarda da un lato o mostra tensioni nel viso quando balbetta?
  • Qualche volta si blocca in modo così brusco che non riesce più ad emettere suoni per parecchi secondi quando sta cercando di parlare?
  • A volte associa all’evento disfluente, come il blocco, comportamenti non verbali (battere il piede, chiudere gli occhi..) al fine di aiutarsi nel far uscire la parola?
  • Rinuncia a parlare, delega altri a parlare al posto suo per paura di balbettare?
Se a questi indici di rischio si associa una familiarità cioè la presenza di genitori o parenti balbuzienti, un ritardo nello sviluppo del linguaggio o il persistere delle disfluenze oltre i 12 mesi dal momento dell’insorgenza è importante avviare un percorso di valutazione, indipendentemente dall’età del bambino. E' importante saper riconoscere questi sintomi in tempo, poiché la ricerca ha stabilito che la prognosi è tanto migliore quanto è minore l'intervallo temporale che separa l'insorgenza della balbuzie dal primo intervento terapeutico (che con particolari modalità può essere eseguito anche in età molto precoce, dai 3 anni di età), per evitare il rischio che la balbuzie si consolidi a tal punto da diventare refrattaria a qualsiasi intervento terapeutico e che provochi conseguenze psicologiche. In particolare un intervento pre-scolare può assicurare migliori risultati, più stabili nel tempo e favorire una fluidità dell’eloquio automatica (cioè spontanea) a differenza dei trattamenti tardivi che vanno a stimolare una fluidità volontaria, controllata. Il nostro approccio prevede una presa in carico del bambino fin dall’insorgenza della balbuzie che inizia con una valutazione diretta per lo più semistrutturata e indiretta e prosegue con dei monitoraggi o, nei casi più gravi, con un intervento immediato. Nella valutazione diretta, soprattutto nei piccolissimi, è fondamentale l’osservazione dell’interazione comunicativa tra bambino-genitore-operatore, delle modalità di comportamento messe in atto durante lo scambio linguistico indagando così la presenza o meno di disfluenze e di comportamenti di compenso (usa un gesto a posto della parola). Tutto ciò avviene in un contesto ludico, più possibile naturale, permettendo inoltre di cogliere sentimenti di autoefficacia e autostima, la personalità e il temperamento del bambino. La valutazione indiretta avviene attraverso l’intervista strutturata e il colloquio con i genitori, che hanno un ruolo fondamentale sia per la diagnosi sia per la buona riuscita dell’intervento. La terapia della balbuzie è estremamente diversificata a seconda dell'età del bambino e può essere diretta (terapia con il bambino) o indiretta (terapia con la famiglia) o mista (bambino e famiglia). Lo scopo della terapia è quello di aiutare il bambino a trovare un giusto equilibrio tra il sentirsi adeguato per quanto riguarda il parlare in rapporto alla balbuzie e a se stesso e diventare abile nel capire e nell'usare le tecniche di modificazione della fluenza al fine di essere un'efficace comunicatore. Consigli per i genitori di figli con balbuzie La cosa più importante da fare, quando nostro figlio balbetta, è essere noi genitori dei buoni comunicatori in modo da fornire un modello verbale che potrà essere facilmente appreso e riprodotto dal bambino. Mentre parli con tuo figlioa è utile: 1) Mantenere il contatto oculare con lui soprattutto mentre balbetta. 2) Non anticipare il suo pensiero, finendo le parolefrasi che sta dicendo. 3) Lasciargli tutto il tempo di cui ha bisogno per esprimere un pensiero e non mettergli fretta mentre sta parlando. Non usare espressioni tipo "dai su!" "allora, cosa mi vuoi dire ", "sbrigati"... 4) Fare in modo che il bambino capisca, osservando il tuo comportamento non verbale e le tue espressioni mimiche, che sei interessato a ciò che dice e non a come lo dice. 5) Cercare di parlare con il bambino usando un tono di voce calmo, rilassato e lento. 6) Ridurre il numero delle domande che gli poni sostituendole con commenti su ciò che il bambino ti ha appena detto. Fai una domanda alla volta e attendi che il bambino ti abbia risposto prima di porgliene un'altra. 7) Non dire mentre balbetta frasi del tipo "parla lentamente", "fai un bel respiro", "rilassati, stai tranquillo", "pensa a quello che devi dire prima di parlare", "parla bene", "smettila di balbettare". Questi consigli non sono di aiuto al bambino che balbetta. 8) Quando gli poni delle domande "prendi tempo", restando in silenzio almeno 2 secondi prima di fargli una domanda o prima di rispondere a una sua richiesta, o verbalizzando "vediamo.. stò pensando..". Mantieni sempre il contatto oculare con il bambino. Usa molte pause quando parli, questi momenti di silenzio ridurranno la pressione comunicativa. 9) Rispettare i turni comunicativi, non interromperlo quando parla né sovrapporti con la voce alla sua. 10) Soprattutto far capire al bambino che tu lo accetti e lo rispetti per quello che è indipendentemente dalla sua balbuzie; questo aumenterà la fiducia in sè stesso e l'autoaccettazione del bambino.

Mio figlio frequenta la terza elementare e quando scrive è lento, fa tanti errori di ortografia e si affatica molto facilmente; è svogliato o c'è un problema? Fatica a scrivere in stampato minuscolo o in corsivo, e ha difficoltà a copiare dalla lavagna, perché? I compiti scritti sul diario sono incomprensibili ed è disorganizzato nella gestione del materiale scolastico, cosa posso fare? È un bambino creativo, riesce a raccontare una storia, ma se deve scrivere un testo  si perde, non sa come procedere, come lo posso aiutare? Questi possono essere alcuni dei segnali che contraddistinguono la presenza di un deficit specifico nell’apprendimento e che dovrebbero far suonare dei campanelli d’allarme. Ovviamente alcuni di questi aspetti possono essere normali nelle fasi iniziali degli apprendimenti, ad esempio in prima elementare, ma il permanere di questi segnali in classi più avanzate, quando le competenze della letto-scrittura dovrebbero essere consolidate, è indice della presenza di una difficoltà reale, spesso associata a disagi sociali, senso di frustrazione e bassa autostima. Che cosa fare, allora? È importantissimo rivolgersi ad un esperto che esegua una valutazione specifica al fine di diagnosticare o escludere un problema e mettere in atto, qualora fosse il caso, un intervento precoce intensivo in collaborazione con i genitori e la scuola. Il nostro Centro non solo si occupa di eseguire una valutazione neuropsicologica completa che vada a differenziare un disturbo specifico da un semplice ritardo o da un disturbo non specifico, di offrire un adeguato sostegno psicologico alla famiglia, di sostenere una collaborazione con la scuola ma soprattutto si “preoccupa” di prevenire il conclamarsi del disturbo attraverso programmi di screening e incontri di formazione con le insegnanti. La disortografia in particolare è un disturbo specifico della scrittura in cui il bambino non rispetta le regole di trasformazione del linguaggio parlato in linguaggio scritto, non imputabile alla mancanza di esperienza o a deficit motori o sensoriali. Alla disortografia si affianca spesso la disgrafia che è un disturbo del ritmo neuromotorio della scrittura (nulla a che fare con la calligrafia). La disortografia si manifesta con errori specifici:
  • confusione tra fonemi somiglianti: il bambino non traduce correttamente in simboli grafici i suoni alfabetici che sono similari tra loro come “f-v”, “t-d”; “b-p” “l-r”;
  • confusione tra grafemi simili: il bambino non traduce correttamente i segni alfabetici che presentano una somiglianza nella forma come “P-B”,“m-n”,”a-o”;
  • dimenticanza di parti di parole: il bambino disortografico tende a omettere alcune parti della parola come la doppia lettera (tappo-tapo), la vocale all’interno della parola (fiume-fume), la consonate interna alla parola (tavolo-taolo) o la consonante vicino ad un’altra consonante definito come riduzione di gruppi consonantici (strega-stega, busta-buta);
  • inversioni: il bambino scrive la parola invertendo  la posizione dei fonemi che la compongono (semaforo-sefamoro).

Già nella scuola dell'infanzia bambini che presentano uno sviluppo linguistico (sia in produzione e/o comprensione) atipico, come parole storpiate, scarso vocabolario, dovrebbero consultare il pediatra che nel bilancio di salute annuale deve monitorare le situazioni a rischio valutando anche l'anamnesi familiare (presenza di disturbo specifico del linguaggio, dislessia) ed inviando il bambino alle strutture competenti. Se al termine del primo anno della scuola primaria di primo grado il bambino presenta una delle seguenti caratteristiche:
  1. difficoltà nell'associazione grafema-fonema e/o fonema grafema;
  2. mancato raggiungimento del controllo sillabico in lettura e scrittura;
  3. eccessiva lentezza nella lettura e scrittura;
  4. incapacità a produrre le lettere in stampato maiuscolo in modo riconoscibile
è opportuno consultare le strutture competenti rivolgendosi ad uno specialista (neuropsichiatra, psicologo) per avere una diagnosi; il Centro D.IA.L.O.G.O. si occupa al riguardo di consulenza, valutazione e diagnosi , terapia dei disturbi di apprendimento.  Naturalmente anche se la diagnosi  vera e propria non può essere fatta prima della fine della seconda elementare e al compimento degli otto anni di età, questi importanti fattori di rischio ci permettono di affrontare precocemente il problema attraverso un intervento precoce che limita il rischio di andare verso la cronicizzazione del disturbo o la messa in atto di meccanismi di rifiuto di fronte a compiti di letto-scrittura, demotivazione e sentimenti di svalutazione e di scarsa autoefficacia nel bambino.

Il Logopedista è l'operatore sanitario che, in possesso della laurea abilitante, svolge la propria attività nella prevenzione e nel trattamento riabilitativo delle patologie del linguaggio e della comunicazione in età evolutiva, adulta e geriatrica. L'attività del logopedista è volta all'educazione e rieducazione di tutte le patologie che provocano disturbi della voce, della parola, del linguaggio orale e scritto e degli handicap comunicativi. In riferimento alla diagnosi ed alla prescrizione del medico, nell'ambito delle proprie competenze, il logopedista elabora, anche in equipe multidisciplinare, il bilancio logopedico volto all'individuazione ed al superamento del bisogno di salute del disabile; pratica autonomamente attività terapeutica per la rieducazione funzionale delle disabilità comunicative e cognitive, utilizzando terapie logopediche di abilitazione e riabilitazione della comunicazione e del linguaggio, verbali e non verbali; propone l'adozione di ausili, ne addestra all'uso e ne verifica l'efficacia; svolge attività di studio, didattica e consulenza professionale, nei servizi dove si richiedono le sue competenze professionali; verifica le rispondenze della metodologia riabilitativa attuata agli obiettivi di recupero funzionale.

La neuropsicologia appartiene all'area delle neuroscienze e studia i processi cognitivi ed emotivo-comportamentali correlandoli con i meccanismi anatomo funzionali che ne sottendono il funzionamento; essa si basa sul metodo scientifico e sul quadro teorico proposto dalla psicologia cognitiva la quale considera la mente un “elaboratore di informazioni”. Il neuropsicologo clinico applica le conoscenze della neuropsicologia alla diagnosi, la gestione e la riabilitazione delle persone con deficit in specifiche funzioni  quali il linguaggio, l'attenzione, la percezione, l'organizzazione motoria, la memoria, l'apprendimento e la regolazione del comportamento. Nell'ambito dell'età evolutiva il neuropsicologo è coinvolto nelle diverse fasi del percorso terapeutico, confrontandosi con tutte le figure coinvolte; in particolare il neuropsicologo:
  • avvia il percorso diagnostico attraverso un'approfondita raccolta anamnestica che consente di orientare la valutazione; nell'ambito dell'età evolutiva è fondamentale raccogliere informazioni sul bambino e i suoi contesti di vita, sulla famiglia e sulle implicazioni psicologiche, affettive e sociali associate a lesioni o disfunzioni del sistema nervoso;
  • conduce colloqui e osservazioni cliniche, somministra test psicometrici e questionari per elaborare, in collaborazione con le altre figure professionali, un'ipotesi diagnostica;
  • progetta, in collaborazione con le altre figure professionali, un intervento individualizzato che tenga conto di tutte le risorse presenti, non solo nel bambino, ma anche nella famiglia e nella scuola, che sono  coinvolte direttamente nel percorso riabilitativo.
  • nell'ambito del progetto d'intervento conduce colloqui di verifica e programmazione, partent training, colloqui di consulenza rivolti ai genitori, colloqui di sostegno psicologico rivolti ai genitori o ai bambini/ragazzi;
In sintesi il neuropsicologo coordina l'equipe multidisciplinare nella presa in carico del bambino con le sue caratteristiche e le sue figure di riferimento, con l'obiettivo di creare una rete che lo accompagni nel percorso di riabilitazione e di crescita. Il neuropsicologo può, inoltre, progettare e svolgere eventi formativi, rivolti a genitori, insegnanti e professionisti sanitari, o interventi rivolti ai gruppi classe, mirati a prevenire il disagio, a individuare precocemente i bambini a rischio di un disturbo neuropsicologico, a promuovere il benessere degli studenti e l'integrazione dei bambini con difficoltà, a favorire un clima di classe collaborativo, che valorizzi le differenze individuali.

Il terapista della neuro e psicomotricità dell’età evolutiva, o neuropsicomotricista è l'operatore sanitario che, in possesso del diploma universitario abilitante, si occupa di interventi di prevenzione, terapia e riabilitazione delle malattie neuropsichiatriche infantili, nelle aree della neuro-psicomotricità, della neuropsicologia e della psicopatologia dello sviluppo.  In particolare adatta gli interventi terapeutici alle diverse caratteristiche dei pazienti, a seguito di una valutazione che evidenzi le funzioni emergenti del bambino e le sue potenzialità di sviluppo. Gli interventi terapeutici e riabilitativo riguardano disturbi percettivo-motori e neurocognitivi, disturbi di simbolizzazione e di interazione e relazione sin dalla prima infanzia. Inoltre collabora all’interno dell’equipè multidisciplinare alla stesura della diagnosi funzionale, del profilo dinamico funzionale e del piano educativo individualizzato. Il terapista della neuro e psicomotricità dell’età evolutiva può anche svolgere attività di studio, di didattica e di ricerca specifica applicata, nonché di consulenza professionale e di formazione per altre figure. Le principali patologie che possono beneficiare di un trattamento neuropsicomotorio sono: disturbo evolutivo specifico della funzione motoria (disprassia), disturbo specifico di apprendimento (disgrafia), disturbo da deficit di attenzione con o senza iperattività (ADHD), sindromi genetiche, ritardo mentale, disturbi pervasivi dello sviluppo, autismo, paralisi cerebrali infantili.

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